Audience Development per organizzazioni culturali

La misura dell’impatto di chi produce, organizza, promuove cultura sta nella sua capacità di raggiungere individui e comunità e di generare un cambiamento al loro interno. Il prodotto, il servizio, l’azione culturale non esistono se non entrano in relazione con una o più comunità. Per questo ogni organizzazione deve dotarsi di strumenti per ampliare e diversificare i propri pubblici, oltre che per intensificare la propria relazione con essi.

È fondamentale avere una visione chiara e strumenti adeguati per affrontare un compito che storicamente è stato lasciato – nel migliore dei casi- a servizi educativi e attività di marketing e comunicazione, ma che raramente ha dato forma a organizzazioni in grado di essere contemporaneamente content-led e audience-focused.

L’audience development cerca di dare una risposta a queste necessità. Non è una disciplina e può essere interpretata in molti modi, ma nel complesso si può definire come un processo strutturato di ampliamento, diversificazione, intensificazione delle relazioni di un’organizzazione culturale con le persone. L’AD si nutre di molteplici apporti ed è trasversale per definizione, nelle professionalità che coinvolge e nelle pratiche, ma ha un quadro di riferimento che si sta sviluppando in questi anni a partire dalle numerose esperienze nate dal basso e sperimentate dalle organizzazioni che sempre più di frequente si trovano a interrogarsi sul loro ruolo possibile in un contesto in cambiamento.
Che sia dovuto a un richiamo ideale rispetto al ruolo che siete chiamati ad assolvere o a un calcolo pragmatico per raggiungere una maggiore sostenibilità conta poco: in ogni caso dovrete dotarvi di strumenti adeguati allo sviluppo di una politica e di una strategia coerente nella vostra relazione con i pubblici.

Le singole iniziative – di marketing, di comunicazione, educative, di coinvolgimento attivo e di partecipazione, eccetera – devono essere inserite in un quadro che dia loro senso e continuità. L’evento sporadico è nemico di qualunque relazione, poiché attiva processi che poi vengono lasciati cadere nel vuoto o, peggio, sconfessati dall’incoerenza con altre iniziative.
Gli obiettivi e le attività di audience development possono essere molto diversificate a seconda dell’identità, della natura, del contesto, ma il processo utile per impostarle in modo strategico – cioè lungimirante e in grado di affrontare e gestire i cambiamenti – è necessario per tutti, dal grande museo alla giovane compagnia teatrale, dalla piattaforma digitale al progetto di sviluppo territoriale.
Ecco qui alcuni passaggi sui quali occorre riflettere che consideriamo necessari affinché singole azioni si possano definire Audience Development, passaggi utili per mettere ordine nelle sentite ma spesso vaghe aspirazioni a raggiungere più persone, persone diverse e più partecipi.

1. Identità e missione

Quando si parla di missione vengono in mente cose come il generatore automatico online di mission di Dilbert o addirittura quello personalizzabile che trovate qui. La verità è che scrivere una mission che non serva solo a riempire una sezione del proprio sito web è un lavoro lungo e difficile, che ha senso solo se intendete davvero farne il documento su cui fondare un’impresa. Si tratta comunque di un passaggio imprescindibile per decidere fino a che punto siamo disposti ad arrivare per raggiungere nuovo pubblico: un lavoro che richiede tempo ed energie, e che rischia di creare non poche frizioni tra i membri dell’organizzazione. Una definizione di mission che ci piace molto, perché sposta il fuoco su motivazioni e impatti, è questa:
“[la mission] dice perché un’organizzazione o un progetto esiste e gli effetti che vuole produrre. Descrive le persone, le situazioni o i problemi per i quali un progetto o un’organizzazione vuole fare la differenza. Non dice quello che si otterrà quest’anno o quello seguente, ma gli obiettivi ultimi che si vogliono raggiungere” (Ashby, Nee).

Se nella vostra mission non vi è cenno agli impatti che volete generare sui pubblici, provate a lavorare su una sua evoluzione che includa questi termini. Non dovrà necessariamente sostituire la vostra missione attuale, ma vi aiuterà a interpretarla e utilizzarla come guida, poiché si tratta di un passaggio fondamentale per chiarire come l’organizzazione intende affrontare la sfida.

Check list:

  • La vostra missione esplicita l’impatto che volete avere sulle persone?
  • Il contenuto è stato negoziato e condiviso con tutti i membri dell’organizzazione?
  • Le azioni che oggi portate avanti sono coerenti con la missione?

2. Analisi

Oltre alla coerenza con identità e missione, una strategia di audience development si fonda su due presupposti fondamentali: la definizione dei segmenti – non tutto vale per tutti – e sulla conoscenza del segmento di pubblico con il quale si intende lavorare.
Gli strumenti di analisi sono vari, le metodologie di indagine sono state sviluppate in ambito sociologico, antropologico e ampiamente adottate dal marketing.
In generale per l’analisi si possono utilizzare strumenti standard e non standard. Gli strumenti standard sono quelli in cui le informazioni sono raccolte in modo standardizzato, per cui i dati raccolti sono confrontabili (tipicamente i questionari, gli analytics, ecc). Gli strumenti non-standard, detti anche “qualitativi”, sono quelli in cui le informazioni raccolte non possono essere analizzate ricorrendo alla statistica (come interviste, focus group, osservazioni, eccetera). In una logica di AD l’analisi ha il doppio valore di aiutarvi a comprendere caratteristiche, comportamenti e bisogni delle diverse comunità che volete raggiungere, e di rappresentare per voi un’occasione di contatto e relazione con esse (e quindi di comunicazione e coinvolgimento).
Una buona analisi si fonda su metodologie corrette e su un uso consapevole degli strumenti. Se non avete competenze in questo campo, considerate di chiedere aiuto.

Check list:

  • Avete definito quali sono i segmenti di pubblico che volete coinvolgere?
  • Sono coerenti con la vostra missione?
  • Avete raccolto dati e informazioni sui gruppi/comunità che intendete coinvolgere?
  • Avete condiviso queste informazioni con i membri dell’organizzazione?

3. Strategie

In linea generale, le strategie dovrebbero rientrare in una o più delle seguenti categorie. Non sono tutte buone per tutti, ognuna può essere intesa come a sé stante o inserita in un percorso di medio-lungo periodo.

  • Pubblico ricorrente: sono i vostri sostenitori, quelli che verrebbero anche in ginocchio sui ceci. Dovrete pensare a tenerli stretti, non deluderli, non farli sentire esclusi, sfidarli/accompagnarli verso contenuti più “difficili”.
  • Pubblico occasionale: qualche volta è venuto, magari una, ma poi lo avete perso. Dovrete fidelizzarlo, capire cosa gli impedisce di tornare (lavorando su prezzi, orari, logistica, promozione, comunicazione, ecc.)
  • Pubblico potenziale: quello che potrebbe essere interessato al vostro tipo di proposta ma che non vi conosce, ad esempio va a teatro, ma non nel vostro teatro. Si tratta di proporre nuovi prodotti o servizi in grado di intercettarli (ad esempio partnership con altri soggetti, modifiche della programmazione, eccetera)
  • Non pubblico: persone normalmente non interessate a ciò che proponete. Sono il sacro graal dell’operatore culturale, ma raggiungerli costa fatica e di solito non è indolore: comporta di uscire dalle proprie mura, costruire relazioni, coltivare fiducia, essere disposti a intervenire anche in modo importante sulle attività che programmate. E, talvolta, comporta di cedere un poco del proprio controllo sui contenuti.

Check list:

  • Sapresti dire a quale o quali di queste tipologie afferiscono le strategie che hai identificato?
  • Sai dare loro un ordine di priorità?
  • Sai tradurre le strategie in azioni e obiettivi misurabili?

4. Obiettivi e Azioni

Qui arriva il bello. Questa fase è di solito quella cui si arriva avendo saltato quelle precedenti. Le strategie che avrete scelto per uno più di quei pubblici devono diventare azioni. Ma le azioni (dalla passeggiata di quartiere alla definizione di un programma di membership) devono avere sempre:

  • Obiettivi, che devono essere misurabili (ad esempio incrementare del 10% il numero di persone fidelizzate, o attivare contatti con 3 associazioni, o la creazione di una mailing list, ecc). Se non sono misurabili non saprete mai se li avete raggiunti o meno (e non potrete dimostrarlo).
  • Azioni: articolate in tempi, risorse umane e finanziarie necessarie. Di solito sulle ultime due si soprassiede, e le conseguenze si pagano tutte.
  • Continuità: qui casca quasi sempre l’asino, soprattutto nelle attività pensate per avvicinare nuovi segmenti. Coltivare le relazioni avviate è un costo, necessario e ineludibile, che va preventivato. Magari sarà poco (una newsletter dedicata, una serata al mese per incontri, ecc), ma non c’è cosa peggiore che essere coinvolti in qualcosa che ci fa sentire importanti e poi ci mette da parte perché “per questo progetto non c’è (più) budget”.

Check list:

  • Le azioni che avete previsto sono coerenti con le strategie?
  • Sapete dar loro un ordine di priorità?
  • Avete pensato a come valutare se avrete raggiunto gli obiettivi?

5. Valutazione e Revisione

Se l’AD è un processo, non va inteso come lineare ma circolare. Al termine di ogni attività e comunque periodicamente è necessario valutare come sono andate le cose, se abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo dati e se sono emerse cose che non avevamo previsto. Se saltate questo passaggio continuerete ad agire nello stesso modo, e non avrete mai l’occasione di migliorare le cose. Questa parte del lavoro non deve assomigliare a un programma del Comintern, può anche essere sostanziarsi in una riunione in cui il personale condivide posizioni, perplessità e proposte, ma è ineludibile e dovrebbe essere documentato da qualcosa di scritto (un passo fondamentale anche alla luce del turnover di personale che non facilita la sedimentazione delle conoscenze a livello organizzativo).

Check list:

  • Avete previsto un momento di valutazione condiviso?
  • La valutazione è stata utilizzata per ripensare le prossime azioni?
  • Gli esiti sono stati condivisi con tutto il personale?

Infine

Seguire questi passi non garantisce di ottenere risultati immediati: l’AD è un lavoro lungo che non si misura sulla breve distanza, per questo va sposato da tutta l’organizzazione. Tuttavia l’adozione di un approccio e modalità di lavoro orientate ai pubblici permette di ottimizzare le risorse, definire le priorità, e soprattutto di pensare la propria attività culturale come un processo che intenzionalmente persegue degli impatti. L’AD sposta il baricentro del nostro sguardo da noi a loro, aiutandoci a comprendere, e non subire ma agire sui cambiamenti e le dinamiche sociali, aiutandoci a trovare la strada per diventare (o restare) rilevanti in un contesto di produzione e relazioni completamente nuovo.
Un certo margine di rischio ovviamente c’è, ma il rischio peggiore è quello di non provarci nemmeno.

Alessandra Gariboldi
Fondazione Fitzcarraldo

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